Nel 1997 avevo dieci anni e, insieme alla mia cugina più piccola spesso giocavamo di nascosto con la fiammante PlayStation di un nostro parente più grande. A nostra disposizione avevamo già un paio di vecchi NES e un leggermente meno vetusto SNES, ma avevamo capito che il futuro era in quella scatoletta grigia marchiata Sony, con i suoi CD scintillanti e lo strano pad grigio.

Un giorno anziché i soliti platform trovammo nel tray della console un gioco nuovo, con un titolo che non sapevamo leggere: Grand Theft Auto, GTA. Dopo poche ore ci trovammo immersi nel mondo del crimine organizzato americano: per noi cresciuti con Mario e Link, il primo capitolo della saga creata da DMA Design fu una specie di epifania, furti, violenza, sangue, pedoni investiti. Scoprimmo, forse troppo presto, che i videogiochi erano pure una cosa da grandi.

La mia prima esperienza con la creatura dei fratelli Houser finì presto: mia zia, attirata dagli schiamazzi, entrò nella stanza proprio mentre dicevo a mia c...