Dei primi Resident Evil, il ricordo indelebile, quello che più di altri racchiude in un singolo fotogramma intere settimane di notti insonni consumate con il pad ben stretto tra le mani, è quasi certamente legato alle malinconiche e delicate melodie delle Save Room, oasi di speranza, in cui rifiatare e organizzare le prossime mosse, nonché sparute e isolate camere anti-panico come fossero fragili bolle d’ossigeno in un oceano di orrori e mostruosità d’ogni genere.

Tutto ciò che rendeva speciale il brand di Capcom, del resto, lo si poteva trovare, in nuce e in tracce minuscole, proprio tra quelle quattro mura. C’era la luce, spesso fioca, tesa a illuminare la macchina da scrivere, come a segnalare che salvarsi (in tutti i sensi) fosse possibile, per quanto difficile. C’erano i fondali pre-renderizzati, ricchi di dettagli, cataste di documenti, foto e scritte che raccontavano di un mondo ormai cancellato dagli schizzi di sangue e dalle interiora che testimoniavano l’irreversibile apocali...