Ve lo immaginate?

Ore a fissare uno schermo parzialmente oscurato, solo per restare sbigottiti di fronte ad un beffardo Hideo Kojima che svela l’inaspettato: Death Stranding, in realtà non esiste. O meglio: è esistito unicamente come performance artistica, un espediente utile ad analizzare criticamente certi meccanismi dell’industria dell’intrattenimento, gli ingranaggi che determinano ed influenzano attese, speranze, desideri dell’audience, un pubblico solo potenziale che sino al momento di mettere piede in una sala cinematografica, di aprire il libro tanto atteso, di prendere finalmente il pad in mano, va costantemente accompagnato, assecondato, imboccato.

L’ignoto fa paura ai publisher dell’entertainment, questo è certamente comprensibile volendo fare un discorso pratico, che non si nutra di precetti filosofici che non trovano spazio nei bilanci di fine anno da presentare agli investitori. Purtroppo questo terrore, ormai congenito, sembra essersi impadronito anche di tutti noi, di m...