Mikkelsen ha raccontato il suo primo incontro con Kojima. I due sono stati messi in contatto da un reciproco amico, il regista Nicolas Winding Refn. L’attore non aveva di chi il game designer giapponese fosse, così se l’è fatto spiegare dal figlio, il giocatore di casa:
La prima impressione che ho avuto di lui l’ho ricavata dalla chiacchierata che abbiamo avuto su Skype. Lui comprende l’inglese, ma usava un traduttore per rispondere, e non mi poteva svelare molto del gioco, ma sono stato colpito dal suo entusiasmo. Quindi ci siamo visti dal vivo e mi ha presentato un enorme storyboard, che mostrava come il gioco avrebbe funzionato e lo stile che avrebbe avuto. Sono un enorme appassionato di fumetti e quella che stavo guardando era una enorme, interattiva graphic novel.
L’attore ha poi parlato della tanto apprezzata componente multiplayer:
L’intera idea è arrivata dopo, gradualmente. L’idea di connettere le persone, come giocatori. Si può avere un impatto su di un giocatore in Venezuela. Puoi aiutare qualcuno senza incontrarlo”, ha affermato, smorzando poi la valenza politica del gioco: “Non tutto può essere ricondotto a Trump o alla Brexit, banalizzerebbe il mondo di Hideo. È noioso. Il mondo più grande di questo. Ed è molto più complicato.
In conclusione Mikkelsen è tornato sulla sua esperienza con il gioco, che aveva già raccontato in precedenza:
Ho giocato per circa due ore e mezza. Ero stupefatto. È stato ipnotizzante.
Fonte: The Indipendent
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