La prima volta che sentii nominare Kobe Bryant fu nell’ormai lontanissimo 1999. Ero poco più che un ragazzino e le prime avvisaglie dell’adolescenza mi indirizzarono lentamente verso un cambiamento epocale. Perso qualsiasi interesse per il calcio, alla disperata ricerca di uno stile musicale in cui potessi identificarmi, grazie a nuove amicizie maturate in ambito extrascolastico conobbi l’Hip Hop e il basket.
Passioni travolgenti che in pochi mesi mi spinsero a rivoluzionare il guardaroba, a comprare decine e decine di album, niente Spotify all’epoca naturalmente, a farmi appioppare un soprannome, che ancora oggi mi accompagna, fortunatamente, come diretta conseguenza dell’amore travolgente che mi colse sin dalla prima volta che vidi giocare la guardia dei Los Angeles Lakers.
All’epoca, oltre al già citato servizio di musica in streaming, non esisteva neanche YouTube e per vedere le partite dell’NBA bisognava essere abbonati a Telepiù, un lusso che solo poche famiglie potevano permette...
Kobe Bryant lascia un vuoto incolmabile in milioni di appassionati, fan, persone comuni che si sono imbattute, anche solo per caso in una delle sue tante frasi motivazionali o che si sono commosse con il suo splendido cortometraggio animato Dear Basketball
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