Provate ad aprire questo link e preparatevi a un ragionamento che parte da molto lontano per arrivare fino al recentissimo Ghost of Tsushima.

Quella ritratta in tutti i modi possibili in quella collezione di poster è una delle schermate di videogioco più famose della storia, la seconda (a meno di sperimentazioni folli) che si incontrava giocando a The Legend of Zelda su NES, e che da allora ha trasceso la sua natura fino a diventare un meme, cioè la massima aspirazione per un prodotto culturale degli ultimi cinquant’anni. Chiunque si sia trovato davanti a questa schermata nel 1986 ha pensato a quanto sarebbe stato bello poterla immortalare e ammirare in qualsiasi momento, una meraviglia che chi giocava su PC conosceva come “screenshot” e che per chi preferisce le console non sarebbe stata possibile ancora per molti anni.

 

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Le origini

La storia del photo mode su console, cioè la possibilità di congelare temporaneamente il gioco e manovrare la telecamera per ottenere un’inquadratura perfetta, inizia con ogni probabilità nel dicembre 2004, quando su PlayStation 2 esce Gran Turismo 4, che introduce tra le altre cose la possibilità, appunto, di scattare fotografie in-game a vari gradi di compressione e di scaricarsele poi su chiavetta USB per potersele godere in qualsiasi momento. Un’idea rivoluzionaria anche rispetto al concetto di “screenshot”, per quest’ultimo è per sua stessa natura statico e impossibile da modificare; il photo mode di Gran Turismo è il primo a sfruttare la natura 3D del gioco e quindi la possibilità di osservare l’immagine da ogni angolatura possibile – è la miglior dimostrazione che ci sta muovendo in un ambiente simulato perfettamente 3D del quale vediamo solo un singolo punto di vista selezionato dagli autori per il massimo impatto possibile.

Per quanto spettacolare (almeno parametrato agli standard dell’epoca), il photo mode di Gran Turismo 4 aveva un grosso difetto, che non era colpa sua: nel 2004 i social non erano ancora esplosi e la condivisione di immagini online era limitata ai forum, agli scambi diretti e, di lì a pochi mesi, alle prime piattaforme tipo MySpace. Non è un caso che il passo successivo nell’evoluzione della modalità fotografica arrivi grazie a un gioco che fece della componente online una delle chiavi del suo successo: stiamo parlando di Halo 3, il primo della serie (e uno dei primi giochi di sempre) a implementare una modalità che registrasse continuamente il gameplay e permettesse poi di rivederlo, ritoccarlo, sistemarlo, editarlo, montarlo e, perdonateci la parolaccia, screenshottarlo. Screenshot e filmati di Halo 3 venivano salvati nell’account del giocatore, accessibili da chiunque e in certi casi anche selezionati da Bungie per entrare a far parte di una galleria di best of che veniva regolarmente aggiornata e curata dagli stessi sviluppatori.

Gran Turismo 4 e Halo 3 hanno in comune la caratteristica di essere giochi incentrati sulla competizione e sullo scontro con altri giocatori (reali o virtuali), e di essere quindi terreno fertile per funzioni come il photo mode o il theatre mode (così si chiamava in Halo 3), che permettono di immortalare i migliori momenti di un match e di vantarsene con gli amici – senza contare che Gran Turismo è una serie che si è sempre vantata del suo splendore grafico e che quindi ha perfettamente senso che già nel 2004 puntasse così tanto sulla possibilità di scattare foto interne al gioco. Il vero salto in avanti del photo mode, però, è avvenuto più avanti, quando la funzione venne introdotta in giochi nei quali non si voleva necessariamente celebrare la prestazione del giocatore ma piuttosto la bellezza del mondo di gioco creato per l’occasione.

 

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L’evoluzione

Qui la cronistoria si fa più complicata e diventa difficile indicare il vero anno zero del photo mode come lo conosciamo oggi, ma i nomi che saltano fuori quando se ne parla sono sempre gli stessi: Uncharted (in particolare 3 e 4), The Last of Us, Horizon: Zero Dawn, Assassin’s Creed, e poi anche i Batman della serie Arkham, i recentissimi Spider-Man e God of War, Red Dead Redemption… tutte avventure in 3D ambientate in mondi ricostruiti e simulati minuziosamente per la massima immersività, dove alla spettacolarità del colpo d’occhio pilotato dalla regia (pensate per esempio a certe sequenze di God of War 3) si è sostituita la libertà assoluta di esplorare l’ambiente di gioco alla ricerca dell’angolo perfetto. La meraviglia del photo mode è che è in grado di creare immagini impossibili da riprodurre semplicemente giocando, una considerazione doppiamente vera ora che i photo mode si sono raffinati anche in termini di editing, con la possibilità di applicare filtri di ogni tipo, di modulare parametri come la profondità di campo e la messa a fuoco, in certi casi persino di cambiare l’orario interno al mondo di gioco per ottenere una luce diversa.

La pervasività del photo mode oggi è dimostrata dal fatto che ormai ha fatto il salto e da “funzione sfruttata dai titoli tripla A per mostrare i muscoli” si è trasformato in uno standard al quale è sempre più difficile rinunciare: ne ha implementato uno No Man’s Sky, perché era impossibile resistere alla tentazione di lasciare al giocatore la possibilità di fotografare uno dei megamiliardi di mondi creati dall’algoritmo; ce n’era uno in Firewatch, un gioco di pochi poligoni e di abbondanti tagli di luce poetico-romantica-evocativa; c’è un photo mode in Control, per favorire la condivisione di screenshot presentati con l’hashtag #brutalism; persino un gioco apparentemente disinteressato a pavoneggiarsi come Dark Souls negli anni ha introdotto l’opzione per nascondere automaticamente ogni forma di HUD così da lasciare modo al giocatore di godersi il mondo di gioco senza impedimenti visivi (e di screenshottare come se non ci fosse un domani).

 

Il futuro

Oggi se cercate photo mode su Twitter o su Instagram ci trovate di tutto, interi account (o direttamente interi siti) dedicati solo a questa funzione della quale ormai scrivono anche i Giornali Seri tipo il Washington Post. La in-game photography – che non è necessariamente la stessa cosa di un photo mode ma che ha ormai abbastanza dignità da meritarsi studi e ricerche accademiche – è ormai una forma di arte digitale con infinite declinazioni e varianti. E non abbiamo parlato, perché richiederebbe un altro articolo a parte, di quella particolare forma di fotografia videoludica che prevede che l’atto stesso di fotografare sia interno al gameplay e non una funzione terza – pensate a serie come Dead Rising o Fatal Frame.

Ecco perché il photo mode di Ghost of Tsushima merita una menzione particolare: perché in mezzo a tutta quest’abbondanza riesce comunque a spiccare per un paio di innovazioni che, ci scommettiamo, vedremo spuntare sempre più spesso nei videogiochi. Innanzitutto la possibilità di “freezare” l’istante di gameplay mantenendo però lo sfondo (le foglie degli alberi, il vento tra l’erba…) in movimento, una scelta che favorisce la creazione di gif più che di immagini statiche; e poi, sempre in quest’ottica, la possibilità di girare veri e propri micro-piani sequenza, scegliendo inquadrature multiple da comporre in un unico video di pochi secondi – ancora una volta, un passo avanti sia rispetto alle immagini statiche, sia rispetto ai classici filmati di gameplay che sono necessariamente legati agli angoli utilizzati durante l’azione. È anche questo un nuovo inizio, una funzione ancora rudimentale e sicuramente migliorabile, ed è per questo che aspettiamo con impazienza la nuova generazione per scoprire come si evolverà ulteriormente questa nuova forma di arte visiva.

 

Ghost of Tsushima