La saga di Yakuza non è mai scesa a compromessi. Ultima vestale della ormai quasi scomparsa SEGA of Japan, la creatura di Toshihiro Nagoshi vive e può essere compresa solo in un contesto culturale ben specifico: il Giappone moderno. Qualsiasi tentativo di adattarla ai gusti, alle caratteristiche e financo alle mode ludiche occidentali sarebbe uno spreco di tempo ed energie. Yakuza 6: The Song of Life, come tutti i suoi predecessori, si rivolge al Sol Levante e basta, i gaijin non sono contemplati.

Concepito come il capitolo finale della ormai lunghissima vicenda di Kazuma Kiryu, il Drago di Dojima, il gioco si dipana per circa trenta ore densissime, fatte di scazzottate, (lunghe) scene d’intermezzo, incarichi secondari e altre scazzottate. Nulla di troppo diverso dagli action canonici parrebbe ma, fin dai primissimi minuti, si capisce bene come Yakuza 6: The Song of Life non faccia alcuna concessione ai canoni estetici e narrativi occidentali.

Chiunque abbia mai avuto la fortuna di ved...